Una medaglia conservata al Museo Medievale di Vienna riproduce l’effigie di Dante e nel verso, reca l’iscrizione: D.P.I.K.F.T. cioè Dantis Poeta Imperialis Kadosh Frater Templarius.
Dante fu certamente un iniziato in intimo contatto con i Templari e il loro sapere. Secondo il Valli (1) e secondo Guénon (2) Dante era affiliato ad una confraternita iniziatica nata dall’Ordine Templare detta della “Fede Santa”, da cui il nome dei suoi membri “Fedeli d’Amore”, appartenenti ad entrambi i sessi, dediti ad un percorso spirituale iniziatici ed insieme alla pratica poetica.
La poesia medievale tenne un legame segreto con l’Ordine Templare attraverso il sodalizio che legava tra loro i poeti, ma soprattutto attraverso un linguaggio allegorico da essi usato che fa pensare proprio ad una filiazione segreta dell’Ordine. Già la poesia provenzale dei trovatori, i poeti itineranti, che trovarono ospitalità presso la splendida corte di Sicilia di Federico II, dove nacque la prima scuola poetica italiana, e quella degli “stilnovisti” che a Bologna con Guido Guinizzelli inaugurò la scuola detta del “dolce stil nuovo” ebbero sicuramente una forte valenza spirituale ed esoterica propria di un linguaggio simbolico.
E’ noto l’interesse di Dante per i Templari e la forte avversione per i nemici dell’Ordine, in primis per il re di Francia Filippo il Bello, che ne decretò la tragica fine nel 1314. Ricordiamo che proprio il “dolce stil nuovo” si dissolse in concomitanza dello scioglimento dell’Ordine, testimone ne fu Dante stesso e Guido Cavalcanti, presenti a Parigi nel 1307. Così si spiega la dura condanna di Dante contro Filippo il Bello, espressa in versi della Commedia, dal capostipite dei Capetingi, Ugo Capeto (purgatorio canto XX versi 94 – 96):
Veggio il novo Pilato sì crudele
e che ciò non sazia,ma senza decreto
porta nel tempio le cupide vele.
O signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta che nascosa,
fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?
Dante attende la vendetta divina che presto arriverà. Clemente V morirà trentadue giorni dopo i roghi e Filippo nove mesi dopo. Il posto che Dante riserva ai Templari nella città celeste, i simboli che usa, l’ascensione che compie, tutti i pericoli che affronta nel suo viaggio iniziatico, il metodo di purificazione, tutto procede dall’etica Templare che gli era ben nota. Il pensiero e la religiosità templare seguivano un processo sapienzale che Dante seppe esprimere in alta poesia. Dante inizia il suo cammino iniziatico il venerdì Santo del 1300 e lo conclude la Domenica di Pasqua, ma un rito segreto Templare veniva eseguito proprio il Venerdì Santo, che è anche il giorno che corrisponde alla celebrazione del Mistero del Graal e all’arrivo dell’eroe Parsifal al Castello del Graal al Monserrat. Se osserviamo la simbologia dei numeri, ricorrenti nelle vicende dell’Ordine, nel loro significato conoscitivo e metafisico, e presenti nella Cabala, nella tradizione islamica, nella esegesi biblica e cristiana, è anch’essa ben nota a Dante per esempio nella simbologia del numero “tre” su cui imposta tutto il poema (3 giornate, 3 cantiche di 33 canti ciascuna più uno d’introduzione, scritto in terzine, 3 fiere che gli si parano innanzi: lontra, leone, lupa; 3 aggettivi: “esta selva selvaggia e aspra a forte”).
L’insegnamento esoterico che Dante ci propone nella sua Commedia è soggetto ad una penetrazione graduale e riservata, come un velo che ricopre la verità.
Ricordiamo i versi:
O voi ch’avete gli intelletti sani
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame de li versi strani.
Dante fu critico verso il Papato dei suoi tempi, ma già aveva trovato un sostenitore contro la Chiesa simoniaca e decadente in S. Bernardo, il fondatore dei Cistercensi e grande sostenitore dei Templari di cui dettò la Regola. Nel 1128 nel Concilio di Trojes venne approvata dal Papa Onorio II la costituzione dell’Ordine Templare con il pieno appoggio dell’Abate di Chiaravalle Bernardo, determinante per dissipare timori di ordine teologico per il fatto che monaci di stretta osservanza potessero impugnare le spade e spargere sangue.
Gli statuti furono severissimi compilati proprio da S. Bernardo nel 1128, che scrisse in loro lode il “De laude novae militziae” (3) mentre nel 1131 Papa Innocenzo II ne confermò la regola. S. Bernardo (4) è stato una delle più grandi figure del medioevo, una grande mente, un grande Santo, un misitico, portato alla contemplazione pura, ma chiamato dai tempi a ricoprire ruoli di primissimo piano nella vita della Chiesa.
Nato nel 1090 a Fontaines les Dijon dalla più alta nobiltà della Borgogna, verso i vent’anni sentì la vocazione religiosa e si ritirò nel monastero di Citeaux nel 1112 chiamando alla sua stessa vocazione i suoi fratelli e altri parenti, e tre anni dopo nel 1115 fondò una nuova abbazia cistercense a Clairvaux (vuol dire Chiaravalle). Visse sessantadue anni e quando morì nel 1153 i monasteri erano già sessanta e oltre settecento i monaci. Bernardo fu un vero mediatore tra il papato e l’impero e il restauratore dell’unità della Chiesa, denunciò il lusso e la decadenza in cui versava.
Grande fu la sua attività politica sempre in difesa del diritto contro l’ingiustizia e la rilassatezza dei costumi per preservare l’unità del mondo cristiano.
Nel 1145 predicò la seconda Crociata, incarico conferitogli dal Papa Eugenio IV che era stato un suo monaco, Bernardo da Pisa, ma già abbiamo visto che nel 1128, come Segretario del Concilio di Troyes ebbe larga parte nella costituzione dell’Ordine Templare, primo tra gli Ordini militari e modello per tutti quelli che lo seguirono.
Nella relazione definitiva del trattato di costituzione (1131) Bernardo con grande oratoria esprime la missione e l’ideale della milizia cristiana.
Questi rapporti tra Bernardo e l’Ordine costituiscono la ragione per cui Dante scelse proprio S. Bernardo come la guida (la terza) più alta del Paradiso.
Grande predicatore, sommo nell’oratoria, autore di molte guarigioni miracolose, fu fautore di una dottrina essenzialmente mistica e che come tale considerava le cose divine sotto l’aspetto dell’Amore di cui descrive tutti i gradi nel suo commento al biblico “Cantico dei cantici”, fino all’estasi, alla pura contemplazione, un misticismo, il suo, che si riflette anche nei suoi trattati dogmatici come il “De diligendo Deo”.
Un’altra caratteristica di S. Bernardo fu il culto eminente nella sua vita e nelle sue opere verso la Vergine Maria a cui si compiaceva di attribuire il titolo di Nostra Signora (Nòtre Dame) e a se stesso di “Cavaliere di Maria”, la sua “Dama” in senso cavalleresco, in funzione dell’Amore sostenuto nella sua dottrina.
Egli, monaco, restò sempre anche cavaliere, nobile anche per ascendenza familiare: grande santo e cavaliere senza macchia come l’eroe della cerchia del Graal. Monaci e cavalieri combattenti furono anche i membri della Milizia di Dio, i Templari, i custodi del Tempio e delle vie di accesso ai luoghi santi.
Tutto questo fu ben noto a Dante che pone S. Bernardo nella più alta sfera del Paradiso, vero tramite tra se stesso e la visione di Dio, fulgore di luce, per intercessione della Vergine a cui rivolge una sublime preghiera, tra i vertici della poesia italiana.
Lo stesso amore che legava i monaci templari alla loro Donna, la Vergine Maria e a cui consacravano la vita e nel cui nome morivano. “Signore Gesù, Padre Eterno e Dio onnipotente, la tua religione che è quella del tempio di Cristo, è stata fondata per l’onore della santa e gloriosa Vergin Maria nostra madre”. E ancora: “ nostra signora è stata l’inizio del nostro Ordine ed in Lei e nel suo Onore, se piace a Dio, sarà la fine della nostra vita e del nostro Ordine ”.
E Jacques De Molay davanti al rogo volle essere girato verso la facciata di Notre Dame, per morire nel suo nome.
La gnosi templare ricercava una progressiva sublimazione dell’uomo interiore verso una spiritualizzazione suprema e come la corrente mistica sufica tendeva all’unione con la divinità, o la Santa Sapienza, figura allegorica al femminile. Nel templarismo spirituale i Fedeli D’Amore e quindi Dante nella sua visione di Beatrice, come sapienza al femminile, come culto della donna allegorica, applicano la gnosi della Scienza d’amore.
Esaminiamo brevemente gli ultimi canti del Paradiso.
Siamo nel cielo Empireo, un fiume di luce, dove Dante contempla la candida Rosa Celeste dove stanno i beati e gli angeli. Beatrice l’ha accompagnato nel suo percorso in Paradiso dopo che Virgilio, che rappresenta la ragione umana, lo ha guidato attraverso l’Inferno e il Purgatorio e lo lascia ormai purificato e libero, nel Paradiso terrestre, compiuto il viaggio iniziatico. Virgilio, il grande poeta amato da Dante, non conobbe il cristianesimo e perciò non può accedere al Paradiso: ecco che gli subentra la sua donna, Beatrice, la Dama, la Santa Sapienza, che lo guiderà nella luce divina.
Nel cielo di Marte, sono disposti in forma di Croce luminosa le anime di quelli che combatterono per la religione di Cristo, perciò anche i Templari (Paradiso canto XIV° vv. 104 e seg.):
“In quella croce lampeggiava Cristo …
si muovea lumi scintillando forte …
e dai lumi s’accogliea per la croce una melodia che mi rapiva” …
“sembrava dire … resurgi e vinci … ”.
giunti però all’Empireo per poter penetrare la luce abbacinante di Dio nella sua Unità e Trinità avrà l’aiuto di altra guida, del grande mistico, cantore di Maria, la sola eletta tra le dame, che potrà essere il suo tramite.
Beatrice va dunque ad assidersi tra gli eletti e Bernardo gli si manifesta e lo invita a guardare più in alto, verso la Vergine che trionfa in mezzo a mille angeli festanti.
(canto XXI°- vv. 58-63):
“credea veder Beatrice e vidi un sene …
vestito come le genti gloriose …
diffuso era per gli occhi e per le guance …
di benigna letizia, in atto pio …
quale a tenero padre si conviene”.
Bernardo lo invita a guardare verso la Vergine (vv. 101-103):
“e la Regina del cielo ond’io ardo …
tutto d’amor ne farà ogni grazia …
però che io sono il suo fedel Bernardo”.
(vv. 139-142):
“Bernardo come vide gli occhi miei …
nel caldo suo calor fissi ed attenti li suoi con tanto affetto volse a Lei …
che i miei di rimirar fè più ardenti”.
Nel canto XXXII° Dante si rivolge ancora a Bernardo (vv. 106-108):
“così ricorsi alla dottrina …
di colui che s’abbelliva di Maria …
come del sole stella mattutina ….
come Venere stella ritrae la sua bellezza dal sole”.
Segue la preghiera alla Vergine, pensiero sublime espresso nella più alta poesia che vi leggerò senza commento.                                Preghiera canto XXX° vv. 1-40.
La Vergine sorride e lo invita a penetrare quella luce che lo travolgerà, luce che è … “l’Amor che muove il sole e le altre stelle”. Questo di S. Bernardo è il più alto posto assegnato ad un mortale in Paradiso, tale è la considerazione di Dante per lui, così grande è stato l’amore che ha portato alla Vergine come grande è stato l’amore dei monaci templari verso la Vergine, tanto che morivano pronunciando il suo nome.
Ma il titolo del nostro lavoro recita: “Dante fra S. Bernardo e S. Francesco”. Perché S. Francesco e quale è il legame con i Templari ? Esiste un’altra probabile affiliazione di Dante, quella all’Ordine francescano in qualità di terziario francescano e pur non essendoci a riguardo documenti ufficiali, tuttavia è sicuro un legame strettissimo di Dante con la spiritualità francescana. Nel canto XXI° del Paradiso, Dante parla di Francesco come di un sole e di Assisi come di un Oriente. I rapporti di Francesco con l’Oriente ci furono veramente e di grande interesse i rapporti con la spiritualità islamica.
(vv. 101-102):
“nella presenza del Soldan superbo predicò Cristo”.
Qui non è possibile approfondire l’argomento, ma si sono fatte varie ipotesi, suffragate da ampi riscontri, su fonti orientali della commedia di Dante. Due fonti almeno di cultura orientale erano conosciute da Dante: la traduzione in latino del famoso “Libro della Scala” un libro arabo, un’opera che parla di un viaggio agl’inferi, di purificazione e di ascesa, di ascensione al Cielo del profeta. La traduzione era opera di Bonaventura da Siena, fatta a Toledo alla corte del Re Alfonso X°, il Re
saggio, tra il 1260-1264. Intensi furono alla corte di Alfonso gli scambi culturali tra ebraismo, cristianesimo e islam e il maestro di Dante, ser Brunetto Latini, o meglio il suo consigliere negli studi, da cui Dante aveva appreso “come l’uomo s’etterna”(inferno XV°) v. 86 era stato ambasciatore di Firenze alla corte di Alfonso nel 1260 e che ben conosceva la spiritualità orientale. Sono state già individuate le somiglianze tra “il dolce stil nuovo” e la poesia del sufismo persiano, le analogie formali e concettuali, l’idealizzazione della donna, l’amore cortese, a Dante giunsero sicuramente influenze dal mondo musulmano. Ma veniamo San Francesco e ai rapporti dei francescani con la spiritualità orientale. I “Fioretti di San Francesco” ne parlano anche se non sono del tutto attendibili. Il primo francescano a recarsi in Terrasanta fu frate Egidio nel 1215, nel 1217 San Francesco nel Capitolo Generale, palesò l’intenzione di proclamare il Vangelo a tutti gli uomini e perciò divise i territori da evangelizzare in province, di cui la provincia d’Oltremare fu affidata a frate Elia che ci soggiornò fino al 1220.
Dopo due tentativi falliti di raggiungere la Palestina, Francesco nel 1219 si imbarcò ad Ancona e giunse ad Acri, una roccaforte templare dove già si trovava frate Elia e poi raggiunse Damietta in Egitto dove incontrò il Saladino, il Sultano d’Egitto, con cui ebbe diversi colloqui e predicò liberamente il Vangelo. Dicono che il Sultano lo abbia supplicato di pregare per lui perché potesse credere a quella religione che più piacesse a Dio. Francesco sperimentò l’ospitalità islamica e la tolleranza dei sultani abbasidi verso i sudditi sia cristiani che ebrei. Visitò liberamente i luoghi santi, visitò il Santo Sepolcro e poi ritornò in patria lasciando dei suoi monaci in Oriente. Nel 1221 nel redigere la Regola per i suoi frati fissò delle norme di comportamento per i frati che si fossero recati tra i Saraceni e altri infedeli, che “non facessero liti o dispute, che si mostrassero soggetti per amore di Dio”.
Nel 1225 il Papa Onorio III° autorizzò le missioni francescane in Siria e in Marocco e quando i Crociati e i Templari furono respinti in Europa, proprio i frati francescani rimasero l’unica presenza che potesse offrire aiuto e riferimento ai pellegrini in Terra Santa (e ancora oggi sono l’unica presenza cristiana cattolica). I francescani continuarono ad entrare in possesso di luoghi santi in tutta la Palestina come custodi della Terra Santa, titolo che la chiesa attribuì loro ufficialmente nel 1342, avallato dalle autorità islamiche e di cui conservano ancora oggi la titolarità.
Dante frequentò fin da giovani i francescani ed in particolare la corrente francescana detta degli “Spirituali” che si contrapponevano a quella dei “Conventuali” divisione che avvenne alla morte di Francesco. Essi però rigorosi nella spiritualità identificavano san Francesco secondo le visioni del monaco calabrese Gioacchino da Fiore “come un angelo che saliva all’Oriente e aveva in sé il sigillo del Dio vivente”, cioè le stigmate. Dante dice di sé che portava “una corda intorno cinta” (inf. XVI° v. 116) cioè il cordone
francescano.
Fu secondo varie fonti frate minore e pare che lo fosse anche il sommo Giotto, amico di Dante, e autore degli affreschi di Assisi. Dante conosceva un terziario francescano di grande virtù che visse a S. Croce, Pier Pettinaio. E’ verosimile che Dante si fosse stabilito negli ultimi anni a Ravenna per stare vicino alla figlia entrata come suor Beatrice nell’ordine francescano a Ravenna. In San Francesco a Ravenna furono fatti i suoi funerali e là fu sepolto, dove poi fu eletta la tomba attuale e mai i frati permisero che le sue spoglie fossero portate a Firenze.
Il titolo ufficiale di custodi della Terra Santa del 1342, fino a pochi anni prima, era appartenuto all’Ordine Templare. Dice Guénon (5) che il titolo aveva una grande valenza simbolica, perché la Terra Santa rappresenta il Centro della tradizione e i “custodi” svolgono la funzione di collegamento col Cristo.
Può essere una coincidenza che dopo la tragica soppressione dell’Ordine Templare il titolo sia passato ai Francescani ? O fu una vera eredità ? C’è una Gerusalemme terrena in Palestina, c’è una Gerusalemme celeste e c’è una Gerusalemme mistica che è l’anima: in questa Gerusalemme, cioè nell’anima nostra, è racchiusa la memoria di questi Ordini Santi: i Templari e i Francescani.

Note:
(1) L. Valli “Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’amore” – 1928 – Optima Roma
(2) R. Fuénon “L’esoterisme de Dante ” ried. 1957 – Gallimad Paris
(3) Dal “De Laude … ” “i Templari non si vestono d’oro e d’argento ma di fede dentro e di
maglia fuori, per suscitare terrore e non avidità nell’animo del nemico”.
(4) R. Fuenon – S. Bernardo – Luni ed. 1995
(5) R. Guénon Les Gardiens de la T.S.
(*) Le notizie riguardanti San Francesco sono tratte dal saggio di Franco Galletti nella rivista “L’idea, il giornale di pensiero-2001 n.1

(maggio 2019)