LE ORIGNI DELLA CAVALLERIA
A cura di don Riccardo Giordani di Willemburg, Cavaliere ad Honorem dell’Ordine
(Bianco Lanciere – Novara 5° Cavalleria)
Se parlare delle origini della “Cavalleria ’ è fare un tuffo in un affascinante passato, parlare della “Cavalleria” dovrebbe essere, secondo me, cronaca di tutti i giorni e questo perché condivido pienamente ciò che disse alcuni anni fa il Principe Borbone quando gli fu chiesto se avesse ancora senso, ai giorni nostri, parlare di ”Cavalleria” e di “Cavalieri Cristiani”: egli, quasi riflettendo con se stesso, ebbe a dire che quando si parla di “Moderna Cavalleria” si rischia di destare un risolíno scettico o ironico perché il mondo ha dimenticato che cosa era nel passato questa organizzazione e non si accorge che una “Nuova Cavalleria”, continuatrice diretta dell’antica fiorisce da molto tempo nel “Mondo Cristiano”. Esso, il mondo, non conosce quali immensi servigi aveva reso alla Cristianità ed all’Europa questo esercito di Cavalieri, che dal loro apostolo San Bernardo avevano ricevuto l’esortazione: “esto miles pacificus, sed strenuus, fidelis ac Deo devotus”. Ma, indipendentemente dal significato e dall’estensione che ha oggi una “Cavalleria Cristiana”, non è ammissibile una ignoranza relativa alla sua storia poiché si tratta di uno dei capitoli più importanti del nostro mondo occidentale. Per ciò ho ritenuto, quasi a cercar conforto nelle parole del Principe di Borbone, di dover fare questa premessa e non solo per sottolineare certi valori del passato ma piuttosto per evidenziare la speranza che questo mondo possa ancora essere guidato da quei principi che hanno contribuito a formarlo, almeno per ciò che concerne la sua parte migliore. Ora, volendo tornare a parlare delle “Origini”, dobbiamo considerare che stiamo parlando di una tradizione spirituale e di un fenomeno esclusivamente europeo, di radici non tanto feudali quanto tipicamente germaniche e che il “Cavaliere” non è solo un soldato a cavallo ma è un uomo votato ad una concezione etica della vita che si distingue dagli altri uomini per gentilezza d’animo, lealtà, saggezza e forza. Al riguardo si possono trarre almeno due considerazioni:
— che il “Cavaliere” nell’ideale comune del feudalesimo, se non nella realtà, doveva essere un uomo di fede e di specchiata virtù;
— che il patrimonio etico e tradizionale su cui si fondava l’intera “Cavalleria” in realtà è molto più antico dell’istituzione stessa.
A conferma di questa tesi stanno non solo i residui celtici e druidici, che sono alla base di molti poemi cavallereschi, ma anche un altro interessantissimo particolare: era uso comune che un “Cavaliere” votasse la propria esistenza ad una donna, e che da questa ricevesse in un certo senso il significato ed il valore sublime della propria ragion d’essere. In altri termini, non era concepibile che la vita di un “Cavaliere” non fosse al servizio — Amor Cortese — di una donna, reale o vagheggiata che fosse. Ma lasciando da parte, almeno per il momento, il mito ed il suo fascino possiamo individuare nella storia le origini lontane della “Cavalleria” tra quelle popolazioni di stirpe germanica come i Goti, i Franchi, i Burgundi ed altri popoli di quella nazione che cominciano a fornirci l’immagine del futuro Cavaliere: una immagine ancora primitiva e violenta, ma che presenta già delle caratteristiche importanti. In particolare, trattando dei barbari di stirpe celtica e dei germani, è bene ricordare che nell’antico diritto germanico si osservava la consuetudine dell’ “Antrustionato” almeno relativamente agli appartenenti alla stretta cerchia dei seguaci del Re chiamati per questo “antrustioni” e tali erano appunto i giovani di nobile famiglia che, pertanto, giuravano fedeltà ad un capo che li legava a sé con una sorta di rapporto sacrale detto “mundio” per cui lo seguivano in battaglia impegnandosi a morire per difenderlo.
Molto più tardi gli antrustioni avrebbero latinizzato il loro nome in “Comites” (compagni) volgarizzato poi in “Conti”. Il “Ciclo Nibelungico” che pare sia stato composto nel XII secolo, ci offre interessanti testimonianze di questi antichi costumi. Infatti le Saghe dei Nibelunghi sarebbero l’unico poema cavalleresco, oltre alla “Chanson de Roland”, ad avere un fondo di verità mescolato alla fantasia ed al mito. Tuttavia, a differenza di quest’ultima, che si riferisce ad episodi dell’ VIII secolo, la leggenda di Sigfrido dovrebbe, almeno in parte, conservare il retaggio di costumi molto più antichi e barbarici; in tutto il poema sia i re, sia i campioni appaiono circondati dai loro Cavalieri che tendono pertanto a preannunciare quella istituzione tipica del feudalesimo, e quindi della “Cavalleria”, che era il vassallaggio ed il servizio di carattere militare prestato ad un Signore. Rimanendo ancora nel solido terreno della storia andiamo ad accennare delle “Radici Cristiane” della storia, ricordando che fu Clodoveo a fondare il primo Ordine Cavalleresco: l’ Ordine della Santa Ampolla o di San Remigio ed in occasione della vittoria sugli Alamanni, parliamo del 495, a farsi Cristiano insieme a quattromila dei suoi guerrieri.
Perché ho voluto ricordare Clodoveo? … perché è da lui in poi sotto i Merovingi e successivamente sotto i Carolingi che l’Antrustionato andò sempre più evolvendosi verso quelle forme feudali che caratterizzeranno la ”Cavalleria” tra i secolí XI e XIII. Il “Cavaliere” tuttavia è ancora, sino all’ VIII secolo, guerriero barbarico strumento di un Signore, che fa delle proprie forze, della propria violenza e della propria spada la ragione stessa della sua vita: in altre parole è già nato il “Cavaliere” come uomo d’armi’ ma non il “Cavaliere” come uomo votato ad una idea. Il merito di questa prodigiosa trasformazione va alla Chiesa, che seppe prima ingentilire i costumi dei Cavalieri imponendo loro un codice morale, ad esempio con la “tregua d’armi” e la ’fratellanza d’armi” e, successivamente, con Gregorio VII, sfruttare almeno parte della “Cavalleria” per la riforma ecclesiastica ed i propri scopi teocratici; infine, attraverso le Crociate fondare Ordini Cavallereschi che erano anche Monastici.
Nacquero così i Cavalieri di San Giovanni od Ospitalierí, dai neri mantelli e dallo stendardo rosso con croce bianca; i Templari, detti dagli Arabi i “diavoli bianchi” per la loro ferocia, i Gerosolimitani ed i Teutonici.
Ma per tornare alla “Cavalleria Laica” è con il Pontificale di Sant’Albano, che prevede la benedizione della spada purché essa sia usata “a difesa delle chiese, delle vedove, degli orfani e di tutti` ” che inizia la sagace opera della Chiesa, grazie anche alla sana determinazione di San Bernardo che seppe fondere in una sola due istituzioni che duravano ormai da secoli la ”Cavalleria” ed il ”Monachesimo, opera tesa a modificare la primitiva barbarie di questa istituzione in una organizzazione votata a scopi etici ed ideali: questo la Chiesa lo ottenne dapprima benedicendo le armi e quindi sostituendo all’investitura laica una specie di sacramento: l’ Addobbamento. Nasce così la figura del “Cavalier Gentile o Cortese”, termine di origine latina il primo, medievale il secondo, che stanno ad indicare nobiltà d’animo e militanza al servizio non più soltanto di un Signore ma della Fede. Ma a questo punto, questo ritornare con la memoria a fatti storici spesso dimenticati ma comunque riscontrabili, ci ha portati naturalmente a parlare di quelle radici meno attendibili ma certamente più conosciute e divulgate: le “radici poetiche”, quelle per capirci dell’ “Epoca d’Oro della Cavalleria” che vanno a posizionarsi tra l’ XI ed il XIII secolo, cioè esattamente nel periodo delle Crociate, se si considera che nel 1099 avviene la presa di Gerusalemme e nel 1291 cade San Giovanni d ’Acri l’ultima fortezza Cristiana in Terrasanta. Furono proprio le “Crociate” ad imprimere indelebilmente nella “Cavalleria” i valori etici e mistici che successivamente la connoteranno: ma furono anche le “Crociate” che determinarono il fiorire di una ricchissima letteratura cavalleresca che contribuì a creare, certamente più nella sfera dell’ideale e dell’immaginario collettivo che nella realtà, la figura tipica del “Cavaliere” come uomo solitario votato all’avventura ed alla ricerca.
Ma è proprio a proposito della citata letteratura cavalleresca che, pur limitandoci al “ciclo bretone” di Artù e del Graal, riteniamo importante sottolineare che il ciclo di leggende, che un nutrito gruppo di autori ha voluto divulgare, ha ben poco di cristiano ed invece molto di pagano-spirituale-iniziatico che si collega con miti e forse sapienze esoteriche di origine celtica-druidica , greco-romana e persino orientale. In effetti sia il quadro geografico degli avvenimenti, sia il prodigioso di cui le storie dei “Cavalieri della Tavola Rotonda” sono intessute, sia anche l’onomastica, dei luoghi come dei personaggi, mostrano echi più o meno rintracciabili dell’antica tradizione celtica o bretone. Ma, quantomeno per riguardo alla copiosa “Letteratura Arturiana”, vediamo di conoscere meglio l’interprete principale: ””II Cavaliere della Tavola Rotonda, ritratto ideale dell’eroe per eccellenza, modello del Cavaliere Errante, è una figura sì tratta dalla realtà sociale, ma trasposta in un piano di meravigliosa perfezione. Egli deve ottemperare al comandamento di un vero e proprio codice morale, religioso e sociale. Le sue qualità saranno il coraggio in ogni circostanza, la lealtà e la generosità – virtù di primaria importanza in un sistema feudale basato su una rete di obblighi reciproci che discendono ed ascendono dal sovrano al vassallo e viceversa – e soprattutto l’onore con la sua vasta gamma di implicazioni e connotazioni. Onore vuol dire non sottrarsi mai alla parola data, quali che siano le terribili e personali conseguenze che da ciò possono scaturire. Onore, non disgiunto da orgoglio, vuol dire non sopportare l’insulto né tollerare il torto senza restituirli. Il disonore e la vergogna, più che la colpa o la morte, sono il pericolo e la sanzione che incombono sul Cavaliere.””
Dichiara Lancillotto:
””sarebbe ben timido colui che non osasse ricevere la Cavalleria. Ché tutti, se non possono avere le virtù del corpo, possono almeno possedere quelle del cuore. Le prime, come la statura, la beltà, l’uomo le riceve nascendo. Ma la cortesia, la saggezza, l’indulgenza, la lealtà, la prodezza, la generosità, l’arditezza, solo la pigrizia può impedire di possederle, che’ esse dipendono dalla volontà. E spesso ho sentito dire ch’è il cuore che fa il valent’uomo.”” Comunque, non si può non considerare che nulla rifletta gli intimi contrasti del mondo sentimentale della Cavalleria quanto l’ambivalenza del suo atteggiamento verso l‘amore, dove la più nobile spiritualità si unisce alla sensualità più intensa. Tutto ciò risalta chiaramente quando il “Graal” comincia ad affacciarsi sulla scena. Prima ogni cosa ruotava intorno alla bellezza della donna, ora la seduzione femminile non è che inganno e tentazione diabolica, la passione amorosa si fa ostacolo insormontabile alla perfezione morale. Prima l’amore era esaltato come la più nobile delle virtù, ora viene chiamato solo lussuria, e al suo posto trionfano castità e verginità, considerate come un bene supremo, misterioso lasciapassare per la salvezza del mondo. La scena si spopola di convegni galanti e si affolla di santi e di eremiti; fanciulle votate all’amore divino si sostituiscono a quante son vergini per un infelice amore terreno; alla spensierata magia di Merlino, all’ambiente del soprannaturale pagano, si oppongono il simbolismo mistico e le apparizioni celesti. Al migliore dei cavalieri terreni, Lancillotto, si sostituisce il cavaliere celeste, il puro, il casto, l’umile Gaalad, eroe adamantino e senza cedimenti cui spetterà l’onore di portare a termine la “ricerca del Graal”, di attingere i vertici della perfezione cristiana. Ma al di là dei miti e delle esasperazioni di questo o di quel periodo storico ciò che è importante come valore da tramandare, come insegnamento su cui costruire è che la ”Cavalleria” insegnò la dignità all’uomo, la cortesia al valore ed ora, non più circoscritta nel tempo, educatrice nel suo selezionare e difendere i valori umani e forte di una sua luce trascendente, ormai consolidata dall’epicità di fatti non più distinguibili nel loro turbinare fra storia e leggenda, ci delinea un ritratto che trae la sua forza non già da eventuali diritti ma da gravosi e, diciamolo pure, invidiabili doveri.
Vediamo così, il Cavaliere nella Luce radiosa dello Spirito, difensore del Diritto e della Fede, dei deboli e degli oppressi, nemico di tutto ciò che è futile e volgare, avente per unica meta la elevazione ed il perfezionamento etico della vita. Non è evidentemente tale colui che, si qualifica per “Cavaliere”, ostentando una qualsiasi -Croce–, più o meno meritata; “Cavaliere” è soltanto colui che porta nel sangue, nella mente, nel cuore, quell’anelito di lealtà, di giustizia, di generosità e di altruismo, per cui, la “Cavalleria” è stata, è, sarà, in tutti i tempi ed in qualsiasi sistema sociale, antesignana di ogni più nobile azione, al servizio del prossimo e di Dio !
(dal sito “International Web Post”)